2006/03/03

BAYLOS EN "EGUAGLIANZA E LIBERTA"

Spagna, storia e analisi dell'accordo sul lavoro Un giuslavorista spagnolo ripercorre le tappe che hanno portato il governo Zapatero, i sindacati e gli imprenditori a varare un'intesa che, senza sacrificare la flessibilità, dovrebbe ridurre il lavoro precario, aumentare le tutele e migliorare la formazione

1. Il Dialogo sociale come primo obiettivo del Governo Zapatero
Appena vinte le elezioni del marzo 2004 e con l'opposizione nazional-popolare ancora in stato di shock, il governo socialista di Zapatero fissò quale priorità quella di siglare un grande accordo sociale in materia di rapporti di lavoro e di sicurezza sociale. La Dichiarazione comune che l'8 luglio 2004 firmarono Governo, UGT, CC.OO. e CEOE-CEPYME su Competitività, Impiego Stabile e Coesione Sociale, fu il testo che materializzò questo obiettivo. Con essa si affermava un modello di dialogo sociale che era stato messo in dubbio dall'ultima tappa della aznaridad a cui il movimento sindacale aveva decisivamente risposto mediante il riuscito sciopero generale del 20 giugno 2002.

Soltanto due anni e un mese dopo, nella Dichiarazione Tripartita, sarebbe stata aperta una serie di temi da trattare nel quadro di un esteso programma di riforme sociali sulle quali il governo Zapatero avrebbe costruito buona parte delle sue speranze politiche, riforme che tuttavia si affidavano alle pratiche di negoziazione tra gli interlocutori sociali seguendo sostanzialmente il modello che si era andato consolidando in Spagna a partire dagli accordi del 1996 e 1997 tra le associazioni imprenditoriali e le organizzazioni sindacali più rappresentative CC.OO. e UGT.

Nella Dichiarazione del 2004 si disegna un progetto di riforme da sviluppare attraverso il dialogo sociale e l'autonomia collettiva. L'idea è che questo progetto converga con quello che sostiene politicamente il governo, ma non richieda una subordinazione né un'acritica accettazione da parte degli interlocutori sociali. Al contrario, ciò che in questo testo si mantiene è una sorta di riserva a favore del dialogo sociale sulle materie di contenuto sociale, in quanto il potere pubblico si impegna - politicamente - a consultare e negoziare le proprie iniziative in tema di occupazione, relazioni di lavoro e protezione sociale con l'organizzazione padronale e i sindacati. Su taluni dei temi inclusi nella dichiarazione del luglio 2004, come la riforma del sistema legale di negoziazione collettiva, la riserva su ciò che possono negoziare gli interlocutori sociali è assoluta, poiché il governo si obbliga a rispettare il contenuto del negoziato e a "riceverlo" nella legislazione qualunque sia il risultato della stessa.

La regolazione del mercato del lavoro costituiva uno degli assi portanti degli spazi di dialogo sociale. Essa tuttavia muoveva da una problematica molto precisa, riassumibile, in modo sintetico ma efficace, nell'insufficiente volume di occupazione e nell'elevato livello di temporaneità. Le parti dichiaranti decisero di affidare ad un gruppo di esperti l'elaborazione di un rapporto di valutazione e analisi delle politiche per l'impiego realizzate nel nostro paese a partire dalla riforma del 1994. La composizione piuttosto eterogenea di questa Commissione e la consapevolezza che tale organo non poteva né doveva formulare raccomandazioni alle parti sociali, ma semplicemente fornire elementi di giudizio e di informazione che potessero servire nel successivo dibattito, resero inutile lo sforzo che realizzarono i suoi membri e sterile il suo contenuto.

Nella primavera del 2005 gli interlocutori sociali e il governo iniziarono la negoziazione sugli aspetti relativi alla riforma delle regole in materia di impiego ed assunzioni, sulla base di un'indicazione chiara. Questa consisteva nella risoluta opzione per il lavoro stabile, per la restrizione delle assunzioni a termine - "tenendo presente le nuove forme imprenditoriali di organizzazione del lavoro" - con una speciale attenzione al problema dei giovani e delle donne dal debole inserimento nel mercato, alla formazione professionale, alla disciplina del lavoro degli immigrati e all'emersione del lavoro irregolare, nonché alla riforma e miglioramento dei servizi pubblici per l'impiego.

Questo processo ha avuto una lunghissima durata. Solo nel maggio 2006 si è giunti ad un accordo - l'Acuerdo sobre la Mejora del Crecimiento y del Empleo - che ha preso forma giuridica nel Real Decreto-Ley n. 5/2006, del 9 giugno, pubblicato nel BOE il 14 giugno allegando ragioni di urgenza per non presentarlo come progetto di legge in Parlamento. Una prima riflessione sull'esteso arco temporale della negoziazione e sulle sue caratteristiche può essere pertinente per spiegare il contenuto e l'orientamento dell'Accordo.

2. Una concezione del dialogo sociale basata su tre parti
È evidente che il programma di riforme sociali enunciato nella Dichiarazione del luglio 2004 era molto ampio e affrontava un complesso di politiche sociali e alcuni impegni legislativi che superavano i margini di una negoziazione ridotta a proseguire, mediante ritocchi, le precedenti linee di regolazione. In esso, come si è visto, gli aspetti relativi al mercato del lavoro erano molto importanti. In particolare, il governo intendeva stimolare la riforma del lavoro assegnandole un proprio segno di identità, corrispondente al nuovo modo di fare politica a partire dalle elezioni del marzo 2004 e dalla configurazione di un'alleanza parlamentare di centro sinistra pilotata dal PSOE e nella quale si associavano Izquierda Unida e Esquerra Republicana della Catalogna, quest'ultima fino alla sua uscita dal governo tripartito catalano allorché ha infine deciso di sollecitare il voto negativo nel referendum per l'Estatuto de Autonomía Catalano.

Il dialogo e la negoziazione sulle riforme erano alcuni degli elementi caratterizzanti la politica del governo, affermati espressamente - al di là di quanto si era determinato nella prima Dichiarazione tripartita, che si limitava ad un impegno di apertura di periodi di consultazione e di negoziazione nelle materie sociali - là dove si segnalava che la nuova regolazione di un qualsiasi aspetto del mercato del lavoro avrebbe irrimediabilmente richiesto l'accordo tra tutte le parti sociali. Questo impegno collocava ciascuna delle parti negoziali in una posizione di forza evidente, potendo brandire la minaccia di veto sulle decisioni della maggioranza, ma fondamentalmente fu percepito come una scommessa per preservare la capacità delle parti di trovare spazi di convergenza sufficientemente ampi sulla base degli obiettivi perseguiti, insomma per la stessa creatività del dialogo sociale.

In questo modo si configura il processo di concertazione intorno ad un tavolo con tre negoziatori, le associazioni imprenditoriali, il sindacalismo più rappresentativo e il governo, con piena formalizzazione del carattere intrinsecamente tripartito di questa attività di creazione di regole di riforma del sistema di impiego. La cosa più rilevante da registrare è che il potere pubblico non solo vuol apparire come interessato al processo di negoziazione e come obbligato dai risultati dello stesso, ma esprime anche una posizione attiva nel suo svolgimento come soggetto del processo di concertazione sociale.

La presenza del governo al tavolo del dialogo sociale intende assicurare, di fatto, la conduzione effettiva del processo, orientandone lo sviluppo e marcando nella stessa negoziazione la portata e i limiti dei contenuti affrontati. Non si tratta pertanto di una posizione neutrale o di mero "recettore" degli accordi cui fossero pervenuti imprenditori e sindacati - come indicava il "modello" di negoziazione degli Acuerdos del 1997, punto di riferimento in altri aspetti dell'attuale processo di concertazione -, ma di un'attitudine di direzione del processo di dialogo in convergenza con - e funzionale a - il concreto progetto regolativo che in materia di relazioni di lavoro il governo presenta come fulcro della propria attività politica in materia sociale.

Questa posizione del potere pubblico che simultaneamente contiene i limiti della negoziazione ed autorizza la dimensione e la portata dei suoi contenuti ha molto a che vedere con l'incapacità dei soggetti sociali di imporre le rispettive posizioni strategiche nel corso della negoziazione. La funzione arbitrale del governo, che a volte è stata espressamente sollecitata da qualche interlocutore sociale, rafforza tale posizione direttiva del potere pubblico nel processo di negoziazione.

3. L'indebolimento dell'accordo sociale quale elemento centrale della governabilità
Nei due anni di durata della negoziazione sulla riforma del mercato del lavoro si è realizzata una costante destabilizzazione istituzionale delle politiche del governo ad opera del Partido Popular con il sostegno di importanti gruppi di interesse, organizzazioni sociali e mezzi di comunicazione. L'opposizione alla guerra in Iraq, la politica di uguaglianza e di repressione della violenza di genere, il riconoscimento di diritti civili a gay, lesbiche e transessuali, la riformulazione dell'autonomia politica della Catalogna e la cessazione del fuoco dell'ETA con l'apertura di un processo di negoziazione con la banda armata sono stati tutti temi sui quali i nazional-popolari, con l'appoggio della Chiesa cattolica, di molte delle Associazioni delle Vittime e la copertura mediatica di gran parte della stampa e degli altri mezzi di comunicazione, tra i quali spicca la COPE, emittente della Conferenza Episcopale, hanno posto in essere una strategia di logoramento e confronto diretto con il potere pubblico allo scopo di delegittimarlo e screditarlo apertamente.

In tale scenario, il laboratorio dell'opinione pubblica costituisce il terreno decisivo sul quale si è andata giocando questa strategia politica di demonizzazione delle misure democratiche avviate dal governo Zapatero.

Ciò ha avuto delle ripercussioni sul tema di cui ci si occupa. Ha determinato un certo spostamento dei meccanismi di legittimazione politica verso altre tematiche più legate, sebbene in maniera diffusa, al godimento dei diritti civili in generale, con il conseguente eclissarsi dell'impatto, in termini di legittimazione sociale, delle riforme del governo in materia di rapporti di lavoro e protezione sociale. Ciò significa che l'importanza rivestita dagli accordi di concertazione sociale come meccanismo di gobernabilidad basato sulla partecipazione e sul consenso degli attori sociali - o, meglio, di gobernanza, utilizzando l'espressione privilegiata dall'Unione Europea - si è andata riducendo nell'attuale contesto politico spagnolo, perdendo per così dire la centralità nel progetto di riforma presentato dall'alleanza di governo progressista, e questa certa svalutazione ai fini legittimatori ha anche inciso negativamente sulla visibilità degli interlocutori sociali, imprenditori e sindacati, quali soggetti politici di rilievo e quali elementi di democratizzazione della società nel suo complesso.

Questo fenomeno può essere indubbiamente analizzato anche in ordine ai contenuti degli accordi di concertazione sociale e alla loro percezione da parte della popolazione. Non sembra che si manifesti il problema della precarietà del lavoro e della sua bassa qualità come un elemento "generale" che acquisisce una posizione decisiva nei dibattiti politici e nell'azione di governo, quest'ultima maggiormente sollecitata da altri spazi d'azione nei quali il confronto e il rumore mediatico sono molto intensi. Addirittura in un tema quale la non autosufficienza come nuova situazione di necessità, la regolamentazione e tutela non si sono innestate in un dibattito sul sistema di Sicurezza Sociale, con il peso politico che avrebbe comportato, ma si sono stemperate in un più ampio dibattito sull'esclusione ed inclusione sociale come elemento di civilizzazione democratica legata al benessere sociale e alla protezione di anziani e disabili nel quadro di un impiego femminile non dichiarato né riconosciuto. Si tratta pertanto di un periodo storico in cui si può parlare di un tipo di governabilità post-socialdemocratica, nel quale i meccanismi di concertazione sociale non possiedono la forza e l'intensità in termini di legittimazione che pure erano andati acquisendo nel corso dei differenti "modelli" conformemente ai quali si era espresso di recente.

4. L'Accordo Sociale sull'Occupazione
Queste circostanze spiegano perché l'Acuerdo para la Mejora del Crecimiento y del Empleo riveli una certa modestia nella sua presentazione e nei suoi obiettivi, a margine del maggiore o minore ottimismo delle dichiarazioni che sono state effettuate dinanzi alla sua sottoscrizione. Strutturato in tre grandi blocchi, l'Accordo disciplina in primo luogo gli interventi volti alla promozione e sostegno delle assunzioni a tempo indeterminato e alla conversione dei rapporti a termine in rapporti stabili; in secondo luogo statuisce misure per migliorare l'utilizzo dei contratti a termine, limitando la successione contrattuale e avanzando nella regolamentazione delle forme in cui si organizza la temporaneità, specie attraverso gli appalti e subappalti e la cessione illecita di lavoratori; e, da ultimo, destina un terzo blocco di disposizioni al potenziamento delle "politiche attive del lavoro", mediante il Sistema Nacional de Empleo, e al miglioramento della tutela a fronte della mancanza di lavoro.

La prospettiva con cui è stata affrontata la problematica della precarietà segue le linee maestre che si misero in pratica negli Accordi del 1997, dei quali si fa, nella relazione al RDL 5/2006, esplicita menzione. Si tratta, in sintesi, di assegnare importanti sovvenzioni pubbliche in forma di sgravi contributivi a quelle imprese che assumono lavoratori con contratti a tempo indeterminato la cui particolarità rispetto al contratto a tempo indeterminato "comune" è data dalla circostanza che in caso di illegittimo licenziamento individuale per cause oggettive - quindi non nelle ipotesi di licenziamento disciplinare e di licenziamento collettivo - l'indennizzo che il datore deve pagare al lavoratore è inferiore a quello stabilito dalla legge in via generale (33 giorni per anni di servizio a fronte dei 45 giorni come regola generale). Questa stessa figura si impiega qualora i datori di lavoro decidano di trasformare contratti a termine in contratti a tempo indeterminato, senza che sia richiesto il recepimento di tale possibilità nella negoziazione collettiva aziendale o di categoria. Il tema è importante perché, come è risaputo, il tasso di temporaneità in Spagna è enormemente alto, intorno al 33% del totale dei contratti di lavoro.

In sintonia con gli Accordi del 1997, viene dedicata buona parte delle prescrizioni al contenimento dell'uso scorretto dei contratti a termine, penalizzando come fraudolenta la pratica della concatenazione contrattuale, regola applicabile anche ai contratti stipulati dalla Pubblica Amministrazione, e alla riformulazione di alcuni (pochi) tipi contrattuali speciali, come il contratto di formazione, al quale si restituisce la causa formativa e del quale si limita l'utilizzazione come mera forma di inquadramento a basso costo del lavoro dei giovani ovvero, nella configurazione dello Statuto dei lavoratori riformato nel 2001, degli immigrati, mentre si sopprime una formula temporanea molto contestata, ossia il contratto di inserimento, anch'esso introdotto da quella riforma del lavoro, il quale era legato a sovvenzioni pubbliche per la realizzazione di un'opera o un servizio di interesse generale in municipi e Comuni.

A ciò si aggiunge, come elemento originale, una incipiente regolamentazione di diritti fondamentalmente collettivi nell'ambito del fenomeno del subappalto - accanto al recupero della nozione di cessione illegale di lavoratori - che prospetta una ricostruzione unitaria della figura del datore di lavoro allo scopo di attribuire diritti di informazione e consultazione che pretendono una maggiore trasparenza in queste modalità organizzative. Esistono, inoltre, altre prescrizioni di interesse che si riferiscono all'azione degli Ispettorati del lavoro e al suo coordinamento con gli agenti sociali nella pianificazione dell'attività di ispezione e di controllo di questi aspetti della regolamentazione del lavoro.

Un terzo gruppo di precetti si sofferma sull'estensione dell'intervento del Fondo de Garantía Salarial - la nostra Cassa Integrazione Guadagni - e sulla possibilità che i lavoratori di età matura espulsi dal mercato prolunghino la tutela contro la disoccupazione dal livello contributivo massimo al livello non contributivo.

Naturalmente, accanto a quanto statuisce l'Accordo si collocano le rivendicazioni, principalmente sindacali, che non sono state tenute in considerazione. E che, utilizzate dalla critica politico-sindacale, possono in qualche modo sminuire l'accordo raggiunto. Esse incidono sulla realtà del sistema di impiego spagnolo, e ricordano che un terzo dei lavoratori occupati non gode di una indennità di licenziamento o ne gode in misura ridottissima - coloro che sono assoggettati ad un contratto a termine - e che il costo del licenziamento in Spagna è andato diminuendo ad ogni riforma lavoristica - nell'ultima, mediante la concreta eliminazione dei denominati salarios de tramitación qualora il datore riconosca l'illegittimità del licenziamento e offra l'indennità nella procedura di conciliazione amministrativa che precede la domanda giudiziale -, senza che si sia riusciti ad invertire questo aspetto attraverso gli accordi di concertazione sociale.

È vero che tali argomenti sono importanti, perché in fin dei conti si basano sulla realtà della concreta strutturazione dell'impiego in Spagna, ma non è questo il piano sul quale si colloca questa approssimazione al tema, più incentrata sulla valutazione della capacità dei meccanismi di riforma che sono stati pattuiti di cambiare o muovere qualcuna delle costanti negative del sistema. Al momento, molte delle riforme legali, soprattutto quelle relative alla reintroduzione del principio di causalità nei contratti a termine, sono state disattivate da una giurisprudenza preoccupata di preservare l'intangibilità delle facoltà dell'imprenditore nella libera rescissione del contratto che viene definito unilateralmente come temporaneo, e di legalizzare alcune operazioni organizzative che permettono di esternalizzare lavoro e servizi di un'impresa e, simultaneamente, somministrare per questa via manodopera eventuale. Probabilmente il recupero della figura della cessione illegale di lavoratori per la sua utilizzazione dinanzi ad alcune formule di somministrazione di manodopera a termine e, per altro verso, l'espressa introduzione del divieto di concatenazione contrattuale nelle Amministrazioni Pubbliche rivestono il carattere di norme-test per diagnosticare il tipo di risposta interpretativa e applicativa che forniranno i tribunali.

C'è, inoltre, un processo parallelo a questa regolamentazione generale che porta avanti un qualche tipo di regole normalmente più precise, costruite settorialmente attraverso la negoziazione collettiva e, singolarmente, attraverso iniziative legislative popolari come quella che ha promosso la Federación de la Construcción y Madera di CC.OO. e che ha trattato Izquierda Unida nel congresso: una legge sul subappalto nel settore dell'edilizia che stabilisce norme e limiti più incisivi rispetto a quelli che compaiono nell'Accordo come generica disciplina delle figure dell'appalto e subappalto.

Tali fenomeni regolativi non devono essere confusi con la tendenza, sostenuta ideologicamente dalle posizioni imprenditoriali, all'indebolimento delle regolamentazioni "generali" garantiste dei diritti dei lavoratori, trattandosi invece di esperienze che convergono con queste e che le rafforzano. Parimenti, un insieme di norme che è diretto a favorire il raggiungimento dell'uguaglianza tra donne e uomini, e che si inserisce nel disegno di legge sull'uguaglianza, dovrebbe essere posto in relazione al tipo di regolamentazione generale prevista in materia di occupazione a partire dall'Accordo.

L'Acuerdo para la Mejora del Crecimiento y del Empleo dipende, alla fin fine, dall'azione dei soggetti economici che realizzano tramite i loro comportamenti le tendenze che la normativa stimola e sovvenziona. Questa affermazione banale, la necessità che siano le imprese ad assumere e porre in pratica le linee di azione presenti nelle norme sull'impiego stabile e la proibizione di decisioni che si prendano gioco della stabilità del lavoro e delle sue garanzie, è accettata da tutti i soggetti che sono intervenuti nel dialogo sociale, ancorché le aspettative sulla sua esecuzione non siano molto incoraggianti. E ciò tanto sulla base dell'esperienza recente quanto con riguardo alle prassi dei settori maggiormente interessati dalla temporaneità.

Tuttavia, accanto al ragionevole pessimismo su come è solito reagire il mercato (?) attraverso i modelli abituali di reclutamento, è vero che nell'Accordo esistono sufficienti indicazioni per traslare all'amministrazione dello stesso una forte conflittualità in difesa della stabilità dell'impiego e della sua più elevata qualità. Questa salvaguardia continuata nel tempo degli aspetti dell'accordo che più infondono speranza esige che i sindacati considerino la sua fase esecutiva come un periodo di conflitto nel quale è necessario affermare una versione di quanto pattuito adeguata nei fatti agli obiettivi dichiarati nel medesimo accordo di concertazione sociale. Su questa base, l'Accordo firmato è un passo avanti nella giusta direzione.
(29/06/2006)

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